“Oggi quando parliamo di graffiti e street art pensiamo invece soprattutto alla bomboletta spray, al tag-writing e alla tecnica dello stencil, dove spesso si fa un lavoro di contestazione della società.
Anche durante i mesi caldi della rivoluzione egiziana, i graffiti e le scritte sui muri (che mi sono sembrate perlopiù vandaliche) sono stati utilizzati per lanciare messaggi di dissenso e si sono trasformati in uno strumento di resistenza alla narrativa dei media statali. Hanno svolto una importante funzione di critica che è servita a risvegliare le coscienze delle persone e a convincerle a unirsi alla protesta. Ma, non solo al Cairo, le scritte in arabo che inneggiavano alla caduta del regime sono state rapidamente sostituite da disegni sui muri che erano geniali artifici di comunicazione transnazionale – utilizzavano l’inglese e riferimenti alla cultura pop come fanno Banksy e Shepard Fairey che potevano essere decodificati facilmente anche da un pubblico straniero. ”
Elisa Pierandrei, giornalista e arabista, è una profonda conoscitrice dell’Egitto e dei suoi movimenti artistici. Ha studiato all’Università americana del Cairo ed è stata corrispondente di ADNKronos International. Nel 2011 è stata a Piazza Tahrir testimone diretta degli avvenimenti che hanno portato alle dimissioni del Presidente egiziano Mubarak. Sulla questione del ruolo degli artisti egiziani nella rivolta ha pubblicato: “Urban Cairo. La primavera araba dei graffiti” (Informant editore). Ha scritto per D di Repubblica, Il Venerdì, Linkiesta.it , Wired, Popoli, Traveller, Ventiquattro, ed alcune testate internazionali fra cui Middle East Eye e Muftah.