Feb 5

2019 | Presidi di Democrazia: organizzazione, progettualità, attività dei Circoli PD della Toscana

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Committente: Partito Democratico Regionale Toscano
Consegna: aprile 2019
Tipologia: cawi
Realizzazione a cura di: Poieinlab srl

La ricerca ha come target i circoli territoriali del Partito Democratico Toscano.  Si tratta di una discesa “pragmatica” sul campo finalizzata a raccogliere l’opinione che i i Segretari di Circolo – e, attraverso di essi, i gruppi dirigenti che lo coadiuvano – hanno sullo stato organizzativo e di iniziativa della loro struttura, sui loro rapporti con l’istanza regionale, sulle modalità e sugli strumenti che, secondo loro, sarebbero necessari per (ri-) animare un’ attività con e per la gente che torni a fare del Partito Democratico stesso l’interlocutore privilegiato per il governo del territorio dei prossimi anni.

Sin dalla sua costituzione – ma anche prima, con la crisi socioculturale dei tradizionali partiti di massa giunta ora al suo compimento – il Partito Democratico si è interrogato sulla funzione delle organizzazioni politiche e sulle migliori modalità d strutturazione per rispondere alle domande che si esprimono oggi una sfera pubblica sempre più complessa, differenziata, informatizzata e basata su una crescente autonomia personale di giudizio, di decisione e di attivismo politico. I tradizionali quadri culturali novecenteschi che hanno orientato il confronto e il conflitto − agevolando il funzionamento del sistema politico, la sua capacità di sintetizzare e di dar voce alle diversità degli interessi e delle domande delle differenti categorie, il suo ruolo di intermediazione fra istituzioni statali e società civile alla base della democrazia liberale rappresentativa − sono andati via via erodendosi, lasciando spazio da un lato al salutare bisogno di protagonismo e di partecipazione delle persone, dall’altro all’emergere di alcune profonde problematiche che, se non affrontate, rischiano paradossalmente di tradurre quei potenziali di libertà e di autodeterminazione nel loro esatto opposto, ovvero nell’opacità retorica della doxa, del “sentito dire”, nella mancato controllo della qualità dell’informazione che presiede sempre all’argomentazione e alla scelta consapevole dell’interesse comune, alla prevaricazione delle maggioranze a scapito dei diritti delle minoranze sulle quale si misura parimenti una reale “democrazia dei moderni”. In un’epoca di un sempre più accentato individualismo cognitivo e normativo – complici gli araldi di utopiche (ma soprattutto ideologiche) forme di partecipazione e di democrazie dirette (in realtà mai esistite, nemmeno ai tempi dell’Antica Grecia di Pericle) – il dibattito politico si dimena fra il peso distorcente delle fake news, la platealità “social” di una vita istituzionale assediata dalla velocità delle decisioni e dal bisogno di non dispiacere populisticamente ai propri (temporanei e sempre da riconquistare) elettori il deterioramento delle capacità e dell’autentica professionalità (nel senso che Max Weber dava a questa espressione) di élite dirigenti con preparazione ed esperienza tendenzialmente scarse.
Sullo sfondo di questo scenario, le sfide di come valorizzare quel nuovo bisogno di partecipazione, di come innovare i canali del dialogo e di come restituire alla parola “compromesso” quell’alto valore di “politicità” che torni a distinguerla dal significato degenerato (con cui oggi è dal senso comune percepita) del termine “compromissione” appaiono tutt’affatto dirimenti. La politica è da sempre – pena la perdita del suo carattere profondamente democratico – una dimensione pratica che si pone come intermediaria fra interessi organizzati di parte e interessi comuni e collettivi. Distinta dalle istituzioni statali – cui afferiscono gli strumenti d potere ma che senza di essa trasforma quest’ultimo in “potenza” prevaricante – a propria volta altra cosa dal mondo privato dei bisogni e delle esigenze del vissuto sociale (il quale, a propria volta priva di quella sfera, degrada a pura competizione e alla prevalenza del più forte), la politica – e, al suo interno, la realtà di un partito di sinistra – ha sempre più bisogno di capire come colmare quel crescente vuoto che si è oggi, in Italia ma non solo, creato in quella “terra di mezzo” un tempo presidiata, e come tornare da un lato ad aprirsi all’ascolto e alla comprensione delle nuove domande dal basso, dall’altro a lavorare ad una loro sintesi in funzione della trasformazione in rivendicazioni istituzionalmente processabili, da un ultimo punto di vista a tessere prospettive strategiche di cambiamento e di riforma in grado di salvaguardare gli ultimi e di reinserirli, includerli come protagonisti, nei processi di sviluppo e di modernizzazione del Paese.
Ganglio fondamentale per la realizzazione di questo obiettivo sono, per il Partito Democratico – all’indomani dell’inizio di una fase di fragilità e di ridiscussione della sua proposta politica – i Circoli territoriali tramite i quali è organizzata la sua struttura.

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