di Giovanni Paci
pubblicato su UIDU – il network socialmente utile
In un famoso saggio, che chi ha a cuore le sorti del terzo settore dovrebbe tenere sempre in evidenza sul comodino, come le bibbie negli alberghi, Hirschman riflette sulla dimensione storica e individuale del complesso rapporto tra sfera pubblica e privata.[1] Mostrando con arguzia – e solidi riferimenti – quali siano le motivazioni che spingono le persone a impegnarsi alternativamente nelle due sfere, egli svela gli inevitabili meccanismi di delusione che portano all’insoddisfazione e alla degenerazione dell’impegno individuale. «Dopo una lunga immersione negli interessi puramente privati, la scoperta che si può agire per obiettivi pubblici rappresenta un’esperienza liberatoria» (160). La tendenza però ad attribuire a questa esperienza obiettivi irrealistici e la scoperta che, spesso, il nostro intento altruistico è “contaminato” dal bisogno di soddisfare interessi egoistici, porta al riemergere di un’insoddisfazione che è la premessa per l’abbandono della prospettiva pubblica e il ritorno alla dimensione privata dell’esistenza. «Vissute alcune esperienze di insoddisfazione nella vita pubblica, una persona riesce spesso a ritirarsi nella sola vita privata senza sentirsi per questo un traditore» (163). Spesso questo ritiro è mascherato da scelta “umile”, ovvero dal rifiuto della dimensione del potere a favore di una dimensione più pratica e concreta dell’esistenza: non si può cambiare il mondo, cerco allora di cambiare il “mio” mondo. Salvo, dopo poco, di nuovo sperimentare la delusione del piccolo orizzonte e pensare che sia necessario qualcosa di più ampio che vada oltre la “coltivazione del proprio orticello”. Per Hirschman, «le società occidentali sembrano condannate a lunghi periodi di privatizzazione nel corso dei quali sperimentano una depauperante ‘atrofia dei valori pubblici’, seguiti da esplosioni di ‘pubblico’ spasmodiche e molto difficilmente costruttive» (168).
Come è possibile uscire da questo circolo vizioso? Hirschman ci lascia con una suggestione e una consapevolezza che costituiscono il terreno prezioso su cui arare la ragionevole convinzione dell’importanza del terzo settore. La suggestione è che sia possibile immaginare una ricomposizione della frattura tra pubblico e privato che viene paragonata alla separazione piscologica tra lavoro e amore: «come la frattura privato-pubblico, il divorzio tra lavoro e amore è dunque sentito come qualcosa che impoverisce e svuota le nostre vite» (169). Lavorare per questa riconciliazione potrebbe essere un buon obiettivo. La consapevolezza, infine, è che l’individuo razionale su cui è basata la teoria economica dominante, per fortuna, non esiste. Le persone possono avere in mente versioni diverse di felicità e voler sperimentare strade differenti e alternative per cercare di raggiungerle. Essi tendono a restare delusi quando queste strade si basano su presupposti e aspettative sbagliati e irrealistici, come quelle fondate sul fatto che esistano due campi separati chiamati “pubblico” e “privato”. Diffondere questa consapevolezza è un passo avanti, nella convinzione che «un qualche tipo di cambiamento da uno stile di vita a un altro sia non solo inevitabile, ma senz’altro utile e desiderabile, e che non esista un modo di vivere in assoluto migliore» (167).