di Giovanni Paci
pubblicato su UIDU – il network socialmente utile
Pur all’interno della più ampia famiglia della valutazione delle politiche pubbliche, la valutazione in ambito sociale assume alcune proprie peculiarità, sia con riferimento al contesto che al metodo. Il tema è rilevante per le organizzazioni non profit.
La crescita della sensibilità nei confronti della valutazione, che sta caratterizzando i protagonisti del sistema integrato dei servizi, deriva infatti anche dalla necessità, che i vari soggetti hanno, di uscire dalla marginalità e dalla scarsa considerazione che chi opera in questo ambito, decisivo per lo sviluppo e il benessere complessivo di una comunità, ha sempre avuto.
Negli ultimi decenni si è infatti assistito a una crescita di professionalità nel settore, allo sviluppo di iniziative innovative, alla creazione di legami transnazionali, che hanno portato una ventata di modernità negli approcci e nelle pratiche a cui con difficoltà corrispondono riconoscimenti di “status”. La valutazione, allora, è stata intesa anche come strumento di emancipazione e valorizzazione di buone pratiche da parte dei protagonisti della crescita del sistema di welfare.
L’interesse pubblico alla valutazione sociale deriva dallo straordinario impatto umano e di equità della posta in gioco; dalla necessità di riequilibrare le asimmetrie informative e di “contrattazione” tra le parti in causa (“produttori” e “consumatori” di servizi); dalla rilevanza delle risorse pubbliche che vengono gestite. La valutazione inoltre viene chiamata in causa dal sempre più marcato disequilibrio fra aumento quantitativo e qualitativo dei bisogni sociali e capacità complessiva di risposta del sistema. Tale fenomeno è “rafforzato” dalla marginalità dei soggetti a cui si rivolge l’offerta di servizi che ne determina una scarsa capacità di pressione politica.
Ma quale approccio è il più consono e utile per valutare le politiche sociali? Uno sforzo che deve essere fatto è quello di distinguere la valutazione dalle attività di verifica e controllo. Se infatti queste ultime sono parte del processo più ampio definito dalla valutazione, è bene non confondere le parti con il tutto. In campo sociale, la valutazione si preoccupa in maniera centrale della sua funzione di apprendimento, utilizzando l’altra faccia della medaglia, la funzione di rendicontazione, come strumentale a questo obiettivo.
Una valutazione che si limitasse a mettere in evidenza scostamenti, errori, deficienze, considerandoli punti di arrivo dell’analisi e non punti di partenza per la comprensione dei meccanismi e la conseguente individuazione dei percorsi di cambiamento e miglioramento, rinuncerebbe alle straordinarie potenzialità, che il processo valutativo ha, di costruzione e condivisione di significati, aprendo ai protagonisti dell’agire sociale nuovi scenari e nuove possibilità di intervento.
Nell’azione sociale infatti, spesso, si apprende più dalla difformità che dalla conformità, più dall’inatteso che dal previsto, più dall’invisibile che dal visibile, più dal costruire che dall’osservare. Questo non vuol dire che valutare non comporti l’assunzione di responsabilità implicita nell’esercizio di un giudizio: è l’aspetto sanzionatorio che deve essere escluso dall’orizzonte della valutazione sociale, sostituito dalla finalità di comprensione e dal comune interesse a migliorare gli interventi.
La valutazione, inoltre, si deve caratterizzare per una modalità interattiva di svolgimento, in modo da svilupparne le potenzialità in termini di reciproco riconoscimento tra gli attori, di integrazione, di costruzione di modalità relazionali efficaci. Per questo la valutazione in ambito sociale non può che essere partecipata a più livelli.
Ciò permette infatti di includere nei processi valutativi quegli elementi di soggettività senza i quali si rischia di non riuscire a fare il “salto” verso la dimensione dell’apprendimento, rendendo così i diversi interlocutori, allo stesso tempo, consapevoli della parzialità delle proprie assunzioni di partenza (spesso basate sul “buon senso”) e motivati a cercare risposte più articolate ai problemi e ai bisogni che hanno di fronte.
Naturalmente questo percorso è irto di ostacoli e anche di rischi degenerativi, specialmente rispetto alla predisposizione dei soggetti a essere coinvolti, che non è così scontata, e alla capacità di orientarsi al risultato, che spesso i vari “tavoli” e “gruppi” si trasformano in sedi di interminabili discussioni finalizzate più all’auto-promozione dei partecipanti, e al loro posizionamento strategico, che non a un concreto interesse alla soluzione dei problemi. In questi casi diventa decisiva la professionalità del valutatore e la sua capacità di leggere i contesti e di rimodulare i percorsi valutativi.
Infine la valutazione sociale, per rispondere alle modalità di intervento che vengono individuate come coerenti con le sfide poste dai problemi e dai bisogni emergenti, deve responsabilizzare ogni soggetto rispetto all’utilizzo della propria valutazione; deve interessare tutti i livelli istituzionali coinvolti nell’erogazione; deve evitare l’autoreferenzialità attraverso l’incrocio tra più fonti e la ricerca di un’oggettività condivisa; deve essere attuata con criteri e metodi che la rendano confrontabile; deve essere trasparente ovvero chiara per i diversi interlocutori. È una strada che vale la pena percorrere.