Nov 8

L’importanza di investire nella conoscenza

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di Filippo Buccarelli

Post pubblicato anche su pratichesociali

Alle soglie del 2000, il Consiglio d’Europa inaugurò la sua strategia di sviluppo: fare del Vecchio Continente, entro il 2020, una compiuta società della conoscenza, ovvero una realtà sociale capace di monitorare le sue trasformazioni storiche, di governarle democraticamente in vista di programmi di modernizzazione sostenibili ed a misura d’uomo e di promuovere così l’emancipazione materiale ed intellettuale delle persone, assicurando loro le opportunità di una loro autodeterminazione, di una loro realizzazione individuale, di una effettiva costruzione della propria biografia liberamente scelta. Investire nella conoscenza non significava soltanto scommettere sulla riflessività collettiva e personale ma promuovere le condizioni per una valorizzazione delle proprie capacità e della propria creatività, facendo tesoro di questa inventività informata e professionalmente assistita anche nel campo dell’economia e della produzione.

A distanza di alcuni anni quel progetto sembra essere in gran parte naufragato. I processi della globalizzazione materiale e culturale appaiono più subiti che governati. Il modo del lavoro ha proseguito sulla strada della frammentazione e della balcanizzazione, con nuove disuguaglianze fra lavoratori del nord e del sud del mondo, fra Paesi “manovali” e Paesi di progettazione e di programmazione, fra aree manuali e di fabbricazione e aree di consumo e di agiatezza ostentata. Fratture sociali ed economiche che non si limitano tuttavia allo scenario mondiale ma che interessano sempre di più anche gli stessi paesi di un continente o dell’altro: la distanza fra quartieri altolocati e le bidonville di una megalopoli sudamericana o asiatica o sudafricana è la stessa, per molti aspetti, che separa ad esempio i centri commerciali delle metropoli americane ed europee e le periferie disagiate delle stesse.

Una società della conoscenza è innanzitutto un’organizzazione sociale e politica che mira a non sprecare alcuna delle risorse cognitive, esperenziali ed informazionali rappresentate dal semplice fatto di nascere e di vivere come un essere umano. Le centinaia di migliaia di bambini sofferenti di inedia nel sud del mondo, o costretti a lasciare le scuole per la milizia e gli eserciti, o ancora strappati all’educazione e ai loro giochi per essere sfruttati nelle fabbriche di tutto il mondo sono un’enorme perdita potenziale per il genere umano e per le sue speranze di emancipazione e di miglioramento. La conoscenza è una ricchezza che si produce e si rinnova nello scambio, nel confronto, nel dialogo ma anche attraverso l’investimento in questi circuiti di discussione e di applicazione pratica. Un tempo − ed ancora − essa era proprietà privata e privatamente gestita, incorporata in piattaforme tecnologiche rigide ed esclusive che ne sfruttavano al massimo il vantaggio competitivo ma la condannavano anche – data la chiusura di questo modello di trattamento − alla veloce senescenza ed impraticabilità. Oggi, le nuove tecnologie di accumulazione e di trattamento delle informazioni creano le condizioni di una nuova fase della crescita e della diffusione del materiale cognitivo. Sempre di più le stesse imprese, nazionali ed internazionali, cominciano a comprendere l’enorme valore aggiunto del confronto, dell’elaborazione “radicata” nella propria forma di vita vissuta e dello scambio di esperienze ai fini dell’innovazione e della crescita economica e sociale. Il Web 2.0 (ovvero quelle forme, telematicamente mediate, che consentono l’arricchimento in tempo reale dello stock informativo, come nel caso celeberrimo, ad esempio, di wikipedia) segna manifestamente il potenziale di una conoscenza tacita che si formalizza e si codifica, nel mentre questa codificazione torna nuovamente a fecondare i processi di elaborazione informale del senso.

La costruzione di una compiuta società della conoscenza − in Italia e, attraverso il suo contributo, a livello europeo − passa di conseguenza attraverso politiche di investimento e di sperimentazione innanzitutto nella scuola, nella ricerca e nell’Università.

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