Set 11

Nine-Eleven. Quando la Storia incontra le storie. Teresa Kong racconta a PoieinLab un pezzo della sua storia

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Nine-Eleven. Quando la Storia incontra le storie. Teresa Kong racconta a PoieinLab un pezzo della sua storia

E’ sempre difficile commemorare un giorno come oggi che si è impresso nella storia collettiva dell’intera umanità, sono passati quattordici anni dall’attacco alle torri gemelle e nel ricordarlo si potrebbe rischiare di diventare banali; sono stati scritti e si scriveranno fiumi di parole su quell’ evento così importante. Da allora il terrorismo è diventato un fenomeno ancora più radicalizzato, più raffinato nei mezzi, più nascosto, più brutale, ramificato ma purtroppo ancora da sconfiggere. PoieinLab vuole ricordare questo giorno attraverso una testimonianza diretta, rilasciata da una sopravvissuta, un’ amica dell’associazione ed esprimere attraverso le sue parole un augurio di convivenza pacifica tra popoli diversi. Il testo qui pubblicato, raccolto per Poieinlab da Federica De Nisco, sarà letto all’interno dell’iniziativa ‘Vigil for Peace‘ che si svolgerà, a partire dalle ore 18, in Piazza della Signoria a Firenze, in occasione del 14esimo anniversario dell’11 settembre.

Nine-Eleven. Lavoravo al World Trade Center, al 23° piano della torre sud, la seconda a essere stata attaccata. Erano circa le 9:10 del mattino e mi trovavo in ufficio. All’improvviso ho visto un mucchio di carte sollevarsi e mi sono chiesta perché c’è della carta stampata in aria? Forse c’è il World Baseball Series e quando una squadra vince vengono tirati in aria i biglietti, un po’ come usano fare i brokers alla borsa. Non sono una fanatica sportiva e probabilmente, ho pensato, mi sono persa qualcosa. Ho sentito poi delle discussioni nel trading floor e dalle finestre dell’edificio ho potuto vedere un’ala nera affumicata di un aereo conficcata nella torre di fronte. Ho pensato che si trattasse di un incidente, che fosse un piccolo aereo e che avesse avuto un guasto. Mi sono comunque subito decisa di andare a casa perché molte persone della mia ditta lavoravano al World Trade Center qualche anno prima quando c’era stata una bomba nel garage sotterraneo e sapevo di trovarmi in un luogo che rappresentava un grande simbolo e quindi mi sono decisa subito a lasciare l’ufficio. Mi sono tolta le scarpe con i tacchi alti, ho indossato quelle da ginnastica, ho preso la borsetta verde e ho sceso le scale con altre due mie colleghe. Non abbiamo corso ma siamo scese con un passo molto regolare e ci sentivamo abbastanza tranquille.

Siamo arrivate al piano terra dove si trovava uno shopping market e lì abbiamo visto tantissimi pompieri e molta gente stupita che aveva lo sguardo rivolto verso quell’aereo conficcato nella torre. Ovunque c’erano lastre di vetro e ho detto alle mie colleghe che sarebbe stato meglio andarsene perché quei frammenti potevano essere molto pericolosi. Ci siamo dirette verso il fiume, poi ad un tratto mi sono girata per vedere se loro fossero ancora dietro di me e ho visto un aereo 747 dirigersi verso la seconda torre.
Mi sono ricordata di quando ero piccola ad Hong Kong, dove l’aeroporto si trovava in un luogo molto stretto, su una collina, circondato da tantissimi grattacieli. In quel momento ho pensato che si trattasse di un’illusione ottica, che non fosse possibile che quell’aereo gigantesco si dirigesse verso la torre. Mi ricordo ancora il rumore assordante, penso di non aver mai udito in vita mia un rumore così forte.
Da quel momento ho iniziato veramente a correre, più veloce che potessi, senza fermarmi per circa venti minuti. Il mio primo pensiero è stato “ok, è un attentato contro gli Stati Uniti, contro la nostra posizione nei confronti di Israele, qualcosa che abbia a che fare con il Medio Oriente.” Pensavo solo a fuggire e a mettermi in salvo, sono andata a un bancomat, ho ritirato un po’ di soldi e mi sono comprata una bottiglia d’acqua. Ho avuto anche il timore che fosse in corso una guerra chimica e che quindi sarebbe stato meglio non stare troppo fuori ma ripararsi all’interno di qualche edificio ed era assolutamente necessario che mi procurassi delle informazioni. Ho sentito altra gente in strada che diceva che c’era stato un attacco anche al Pentagono. Sono entrata allora in un piccolo negozio dove c’era la televisione e ho sentito la notizia di un secondo aereo schiantatosi contro il nostro edificio. Insieme ad una massa di persone ci siamo diretti verso Amsterdam Avenue, sono andata nell’appartamento della mia collega che si trovava all’incirca a metà, tra la 50° e 6°strada e sono rimasta lì per due – tre ore a guardare la TV e a cercare di rilassarmi un attimo. Avevo la sensazione di vivere in un film. Dopo essermi un po’ ripresa sono andata a casa da sola, all’epoca abitavo nella 121° strada, veramente nel Nord di Manhattan. Dopo un’ora sono entrata nell’abitazione, la mia coinquilina si trovava lì e stava piangendo, mi ha subito abbracciato e mi ha detto che il telefono era squillato per tutto il tempo ma non aveva risposto perché non sapeva cosa dire. Allora ho iniziato a chiamare parenti e amici, anche se era molto difficile perché le linee erano intasate.
Dopo circa una settimana ho ricominciato a lavorare, un’altra ditta, la Dresdner Bank ci ha messo a disposizione i suoi uffici per circa tre mesi, fino a quando non abbiamo trovato un’altra sistemazione nel Textile District, 39° strada. Per me non è stato poi così difficile perché non ho perso nessun amico/a. Molti dei miei colleghi li hanno invece persi, ma io non ne avevo così stretti che conoscevo e che sono morti.
Questa esperienza mi ha davvero lasciato una traccia profonda tanto che dopo non ho più voluto continuare a vivere a New York perché mi sono resa conto che la vita è troppo breve e lì non mi sono mai sentita felice. Sapevo che quella era una fase intermedia della mia vita, dovevo andare a lavorare a New York per fare carriera, per una sorta di formazione ma sapevo che non sarei rimasta lì per sempre.
All’epoca avevo 29 anni, desideravo una famiglia, un ambiente in cui mi sentissi a mio agio e quindi nel maggio dell’anno successivo sono ritornata in California, a Berkeley, dove vivo tutt’ora.

 

Teresa

Teresa Kong è americana, nata ad Hong Kong, dove ha vissuto fino all’età di otto anni, poi si è trasferita a Minneapolis (Minnesota) insieme alle due sorelle e ai genitori. Ha studiato alla Stanford University Economia, Scienze Politiche e Sviluppo delle Politiche Internazionali. Ha iniziato la sua carriera come portfolio manager presso la JP Morgan Securities Inc. di New York, mentre ora lavora presso la Matthews Asia ed è responsabile del settore strategie d’investimento nei paesi emergenti dell’Asia, Europa Orientale, Africa e America Latina.  Vive in California, è sposata con un accademico slovacco e ha una figlia. Parla inglese, mandarino, cantonese e tedesco.

 

(intervista e sbobinatura a cura di Federica De Nisco)

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