Il valore del volontariato non si misura solo in numeri, siano essi di persone che lo fanno o di organizzazioni che si impegnano in qualche settore. Anzi, troppo spesso questi numeri possono essere fuorvianti. Il volontariato è un bene comune di una società e l’unità di misura del suo valore è il senso che ha per essa. In questo vedo una grande crisi, una crisi di identità. Schiacciato dal percorso di istituzionalizzazione intrapreso negli anni novanta, dalla crisi economica e sociale dell’ultimo decennio, dalla fase ciclica secondo il noto andamento ben descritto da Hirschman in Felicità privata e felicità pubblica, dalla rincorsa a finanziamenti e dal vezzo tutto italiano dei collateralismi politici e di potere, il volontariato organizzato necessita di un percorso di ricerca di senso, pena la sua irrilevanza rispetto al miglioramento del benessere della nostra società.
La deludente alternativa pubblico-privato… secondo Albert Hirschman
di Giovanni Paci
pubblicato su UIDU – il network socialmente utile
In un famoso saggio, che chi ha a cuore le sorti del terzo settore dovrebbe tenere sempre in evidenza sul comodino, come le bibbie negli alberghi, Hirschman riflette sulla dimensione storica e individuale del complesso rapporto tra sfera pubblica e privata.[1] Mostrando con arguzia – e solidi riferimenti – quali siano le motivazioni che spingono le persone a impegnarsi alternativamente nelle due sfere, egli svela gli inevitabili meccanismi di delusione che portano all’insoddisfazione e alla degenerazione dell’impegno individuale. «Dopo una lunga immersione negli interessi puramente privati, la scoperta che si può agire per obiettivi pubblici rappresenta un’esperienza liberatoria» (160). La tendenza però ad attribuire a questa esperienza obiettivi irrealistici e la scoperta che, spesso, il nostro intento altruistico è “contaminato” dal bisogno di soddisfare interessi egoistici, porta al riemergere di un’insoddisfazione che è la premessa per l’abbandono della prospettiva pubblica e il ritorno alla dimensione privata dell’esistenza. «Vissute alcune esperienze di insoddisfazione nella vita pubblica, una persona riesce spesso a ritirarsi nella sola vita privata senza sentirsi per questo un traditore» (163).